Quando il Silenzio Insegna Più delle Parole
Durante una sessione con un cliente particolarmente silenzioso, ho capito che il mio ruolo non era riempire i vuoti. Quella pausa mi ha insegnato più di tanti manuali.
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Qui condividiamo esperienze reali, difficoltà affrontate e lezioni apprese durante il nostro viaggio nel mondo del coaching. Non troverai formule magiche, ma osservazioni oneste su cosa significa davvero sviluppare questa competenza.
Ogni articolo nasce da situazioni concrete che abbiamo vissuto o osservato. A volte le cose funzionano, altre volte no. Ed è proprio da quegli errori che impariamo di più.
Durante una sessione con un cliente particolarmente silenzioso, ho capito che il mio ruolo non era riempire i vuoti. Quella pausa mi ha insegnato più di tanti manuali.
Credevo di dover avere tutte le risposte. Sbagliavo domande. E pensavo che bastasse ascoltare. Ecco cosa è cambiato dopo sei mesi di pratica vera.
Non sempre le tecniche sofisticate servono. A volte basta chiedere "E tu cosa ne pensi davvero?" per aprire una conversazione completamente diversa.
Dopo aver letto decine di libri sul coaching, la prima sessione reale mi ha messo di fronte alla realtà: sapere non equivale a saper fare. E va bene così.
Il coaching non si impara in un weekend. Questi sono alcuni momenti chiave che hanno segnato la nostra evoluzione come professionisti. Ogni tappa ha portato nuove comprensioni.
Ricordo ancora la tensione prima di quella prima sessione. Avevo preparato tutto, ma niente mi aveva davvero preparato all'imprevisto. La persona davanti a me non seguiva lo script che avevo in mente. E quella è stata la lezione più importante: non esistono script nella relazione vera.
Ho interrotto un cliente troppo presto. Pensavo di aver capito dove volesse arrivare, ma mi sbagliavo completamente. Quella interruzione mi ha fatto capire quanto sia importante resistere all'impulso di "risolvere" e quanto sia prezioso invece creare spazio per l'altro.
Pensavo di saper ascoltare. Ma ascoltare davvero significa mettere da parte il proprio ego, le proprie soluzioni pronte, i propri giudizi. Significa essere presenti senza agenda. E questo richiede pratica costante, non è qualcosa che si impara una volta per tutte.
Esistono tanti modi di fare coaching. Nessuno è universalmente migliore dell'altro. Questa tabella confronta alcune caratteristiche che abbiamo osservato nei nostri percorsi e in quelli di colleghi. La chiave è trovare l'approccio che risuona con chi sei.
| Caratteristica | Approccio Direttivo | Approccio Non-Direttivo | Approccio Integrato |
|---|---|---|---|
| Ruolo del Coach | Guida attiva con suggerimenti concreti | Facilitatore che pone domande | Flessibile secondo la situazione |
| Struttura Sessioni | Schema definito e pianificato | Flusso emergente dalla conversazione | Mix tra struttura e spontaneità |
| Adatto per | Clienti che cercano indicazioni precise | Persone che preferiscono scoprire autonomamente | Situazioni che richiedono equilibrio |
| Uso di Strumenti | Frequente e sistematico | Occasionale e su richiesta | Selettivo e contestuale |
| Tempi di Riflessione | Brevi, orientati all'azione | Ampi, orientati alla consapevolezza | Variabili secondo necessità |
| Feedback Immediato | Fornito regolarmente | Limitato e richiesto | Calibrato sulla persona |
| Focus Principale | Risultati e obiettivi misurabili | Processo e comprensione profonda | Equilibrio tra processo e risultati |
La scelta dell'approccio dipende da tanti fattori: la tua personalità, quella del cliente, il contesto, gli obiettivi. Non esiste una formula perfetta. Spesso i coach più esperti sanno muoversi tra questi approcci senza nemmeno pensarci, adattandosi naturalmente alla situazione. Ma ci vuole tempo per sviluppare questa flessibilità.